sabato 25 aprile 2009

Dieta e mortalità, il fattore qualità.

Un corretto regime alimentare parte dalla qualità dei cibi, questa è la prima cosa che sottolineo quando i pazienti mi richiedono una dieta. Un recente articolo apparso sull' European Journal of Clinical Nutrition avvalora ulteriormente questo approccio. Studiosi del Karolinska Istitutet di Stoccolma hanno preso in considerazione una coorte di più di 40.000 persone, seguite per quasi 8 anni, che avevano risposto ad un questionario in merito alle abitudini alimentari. L'analisi prevedeva la valutazione dell'assunzione di 36 cibi raccomandati (13 ortaggi, 6 frutti, 7 prodotti a base di cereali, 5 tipi di pesce e frutti di mare, 3 prodotti lattiero-caseari a basso tenore di grassi , frutta a guscio e l'olio d'oliva) e 16 cibi non raccomandati (3 prodotti a base di carne rossa , 5 prodotti trasformati a base di carne, 3 prodotti lattiero-caseari ad alto contenuto di grassi, pane bianco, dolci, patate fritte, maionese e gelati). L'analisi dei dati ha evidenziato come gli uomini con un consumo di 28 o più alimenti raccomandati, da 1 a 3 volte al mese, hanno un tasso di mortalità per qualsiasi causa inferiore del 19 per cento e un tasso di decesso cardiovascolare inferiore del 29 per cento rispetto agli uomini che si cibano con alimenti poco raccomandati. Fra le persone che assumono cibi poco raccomandati quelli con un consumo più alto e frequente hanno un ulteriore aumento di più del 2o% del rischio di mortalità rispetto agli uomini che assumono gli alimenti sconsigliati in misura meno frequente.
Secondo gli autori dello studio non solo la frequenza di assunzione ma anche la varietà dei prodotti alimentari sani è importante per il benessere. Questa è un'altra cosa che sottolineo sempre ai miei pazienti, il passaggio da una dieta monotona (dove i medesimi cibi si ripetono ogni giorno) ad una dieta circolare (dove vi è una rotazione di cibi salutari) apporta sempre benefici perché vi è da un lato minor rischio di deficit di micronutrienti e dall'altro minor rischio di accumulare sostanze tossiche.

Kaluza J; Håkansson N; Brzozowska A; Wolk A
Diet quality and mortality: a population-based prospective study of men.
European journal of clinical nutrition 2009;63(4):451-7.

mercoledì 22 aprile 2009

Omega 3 e stress operatorio

Terapia immunonutrizionale perioperatoria

Il successo di un intervento chirurgico non è determinato unicamente dall'atto chirurgico in se ma anche dal periodo che lo precede (preoperatorio) e da quello che lo segue (postoperatorio). In particolare la corretta gestione del postoperatorio dopo interventi maggiori assume un importanza fondamentale per la pronta guarigione e il recupero funzionale. Uno dei problemi più frequenti è la rapida perdita di massa muscolare che è causata nell'immediato dal rilascio di mediatori dell'infiammazione e dello stress. Un recente articolo, pubblicato sulla rivista Annals of Surgery, aggiunge un ulteriore tassello al management nutrizionale del pre-post operatorio. I ricercatori hanno valutato l'effetto di una supplementazione di Omega 3 (EPA) nei 5 giorni precedenti e 21 successivi ad un intervento di esofagectomia. L'assunzione di soli 2,2 grammi di EPA si è dimostrata in grado di prevenire la perdita di massa muscolare e di ridurre in modo significativo i marker infiammatori (TNFα, IL-10, IL-8).

Ryan, A., J.V. Reynolds, L. Healy, M. Byren, J. Moore, N. Brannelly, A. McHugh, D. McCormack, and P. Flood, Enteral Nutrition Enriched with Eicosapentaenoic acid (EPA) Preserves Lean Body Mass Following Esophageal Cancer Surgery: Results of a Double Blinded Randomized Controlled Trial," Ann. Surg. 249:364--365 (2009).

giovedì 16 aprile 2009

Il consumo di Tè riduce il rischio di Ictus e Diabete

L'ictus cerebrale è la seconda causa di morte nel mondo (5,4 milioni di vite all'anno) e rappresenta la patologia più invalidante con costi per la società elevatissimi (che si stimano per il periodo 2005-2050 superiori a 2 trilioni di dollari nei soli Stati Uniti).

Una recente meta-analisi, basata su dati provenienti da diversi studi per un totale di 195.000 persone, mostra un evidente effetto protettivo del consumo regolare di tè. Le persone che consumano almeno 3 tazze di tè al giorno (non è importante se nero o verde) hanno il 21% in meno di rischio di subire un ictus. Questi dati, che gli autori auspicano siano verificati da un trial clinico randomizzato, dovrebbero comunque incoraggiare le persone a raggiungere la soglia minima di consumo (visti anche gli innumerevoli effetti positivi legati al consumo di tè*).

Per correttezza segnalo che lo studio è stato supportato dal “Lipton Institute of Tea” e condotto dall' University of California, Los Angeles (UCLA). Personalmente ritengo comunque che siano più affidabili i dati provenienti da studi supportati da istituti di questo tipo che, pur avendo un interesse in un determinato campo, non hanno il monopolio dell'oggetto dello studio, cosa che avviene invece per le case farmaceutiche.

Green and Black Tea Consumption and Risk of Stroke. A Meta-Analysis," Arab L, Liu W, Elashoff D, Stroke, 2009 Feb 19



* segnalo ad esempio questo recentissimo studio che dimostra un effetto protettivo del consumo di té sul diabete nella popolazione anziana.

Long-term tea intake is associated with reduced prevalence of (type 2) diabetes mellitus among elderly people from Mediterranean islands: MEDIS epidemiological study," Panagiotakos DB, Lionis C, et al, Yonsei Med J, 2009; 50(1): 31-8.

venerdì 10 aprile 2009

Zucchero, fibre e rischio diabete tipo 2 in ragazzi in sovrappeso.

Meno zucchero e più fibre

Questo mese la rivista Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine riporta una serie di articoli legati alle problematiche del diabete e obesità in età giovanile. Fra i vari lavori pubblicati uno di particolare interesse analizza gli effetti di un cambiamento del regime alimentare in ragazzi in sovrappeso. Dopo 16 settimane il 55% dei ragazzi aveva modificato il proprio regime alimentare con la riduzione dell'apporto di zuccheri semplici (quantità equivalente ad una lattina di cola) e l'aumento dell'apporto di fibre (ca. 5 grammi al dì). Questa modificazione è stata accompagnata da una riduzione della secrezione di insulina del 33% e dell'adiposità viscerale del 10% (entrambi fattori di rischio per il diabete tipo 2). I dati confermano da una lato la nota associazione negativa fra grasso viscerale e sensibilità insulinica ma evidenziano pure la possibilità di un cambiamento positivo in un periodo relativamente breve e con uno sforzo limitato in termini di abitudini alimentari.

Ventura E, et al "Reduction in risk factors for type 2 diabetes mellitus in response to low-sugar, high-fiber dietary intervention in overweight Latino adolescents" Arch Pediatr Adolesc Med 2009; 163(4): 320-327.

mercoledì 8 aprile 2009

Omega 3 e complicanze mediche obesità

SANO COME UN PESCE

E' stato recentemente pubblicato sulla rivista FASEB un interessante articolo dove González-Périz e colleghi attraverso una serie di eleganti esperimenti dimostrano che in un modello murino di obesità umana il consumo di omega 3 migliora la sensibilità all'insulina e riduce l'accumulo di grasso patologico del fegato che è associato con insulino-resistenza e obesità. Questi effetti sono mediati da modifiche nella produzione delle sostanze di regolazione del tessuto adiposo (in particolare adiponectina) e attraverso l'up-regolazione, nel tessuto adiposo e nel fegato, dei geni coinvolti nella sensibilità all'insulina e nell'ossidazione degli acidi grassi. L'assunzione degli omega 3 è associata anche con la down-regolazione dell'acido grasso sintasi, un enzima chiave nei processi di lipogenesi nel fegato. Un ulteriore azione degli omega 3 a livello di alcuni meccanismi legati alla beta-ossidazione degli acidi grassi porterebbe ad un aumento della sensibilità all'insulina. Gli omega 3 indurrebbero inoltre nel tessuto adiposo una ridotta produzione di mediatori infiammatori derivati dall'acido arachidonico e un aumento della sintesi di quelli antinfiammatori resolvins e protectins*. Con questi risultati, il tessuto adiposo si unisce all'elenco di tessuti in grado di produrre le molecole antinfiammatorie resolvins e protectins a partire dagli omega 3.

Questi dati nel loro complesso permettono di affermare che una dieta ricca di omega 3 è in grado di ridurre la resistenza insulinica, inibire la produzione di mediatori infiammatori e sopprimere l'infiltrazione patologica di grasso nel fegato (steatosi).

Ana Gonzlez-Priz, Raquel Horrillo, Natlia Ferr, Karsten Gronert, Baiyan Dong, Eva Morn-Salvador, Esther Titos, Marcos Martnez-Clemente, Marta Lpez-Parra, Vicente Arroyo, and Joan Clria. Obesity-induced insulin resistance and hepatic steatosis are alleviated by -3 fatty acids: a role for resolvins and protectins. doi:10.1096/fj.08-125674.

http://www.fasebj.org/cgi/content/abstract/fj.08-125674v1

*Vedi ad esempio il seguente articolo per dettagli su queste due molecole. Novel chemical mediators in the resolution of inflammation: resolvins and protectins. Anesthesiol Clin. 2006 Jun; 24 (2):341-64.

domenica 5 aprile 2009

Brain Pills - Eric Fromm

La ragione sgorga dalla fusione tra pensiero razionale ed emozione. Se le due funzioni sono staccate, il pensiero si deteriora in schizoide attività intellettuale e l'emozione si degrada in passione nevrotica dannosa per la vita.
Eric Fromm

mercoledì 1 aprile 2009

Degenerazione maculare e consumo carne rossa

La vista del "sangue" non fa bene agli occhi

Un recente studio da poco pubblicato sull'American Journal of Epidemiology evidenzia una correlazione fra assunzione di carne rossa e degenerazione maculare senile.
Ad esempio le persone che consumano più di 10 (!) porzioni di carne rossa alla settimana hanno il 50% di probabilità in più che la retina si deteriori con l'età rispetto a chi ne cosuma meno di 5.
L'effetto della carne rossa sarebbe mediato da alcuni composti che potrebbero produrre danni ossidativi ed essere tossici per la retina.

Red Meat and Chicken Consumption and Its Association With Age-related Macular Degeneration
Elaine W.-T. Chong
, Julie A. Simpson, Luibov D. Robman, Allison M. Hodge, Khin Zaw Aung, Dallas R. English, Graham G. Giles and Robyn H. Guymer

American Journal of Epidemiology 2009 169(7):867-876; doi:10.1093/aje/kwn393